Il miglior gruppo rock psichedelico in circolazione? Non lo so. Voglio dire, sono sicuro che ciascuno potrebbe nominare un gruppo diverso e qualcuno potrebbe anche fare degli elenchi. In ogni caso si potrebbero nominare roba tipo “mastodontica” tipo King Gizzard & The Lizard Wizard, che sono roba forte, per carità, oppure gente come Ty Segall, Oh Sees, che pure mi piacciono molto, ma voglio dire, e se vi chiedessi qualche cosa di veramente forte e qualche cosa di veramente diverso. In questo caso allora fidatevi se vi dico che questo gruppo proveniente da San Paolo, Brasile, è la cosa migliore che potreste ascoltare e la cosa bella, stavolta sì, è che ce ne siamo accorti – pare – finalmente anche in Europa, se è vero che il gruppo suoner? due date qui ad agosto, prima a Berlino e poi alla grande festa che si terr? ad Eindhoven con un sacco di bella gente del giro della Fuzz Club Records.
Per la verit? la storia dei Firefriend, trio composto da Julia Grassetti, C. Amaral e Yury Hermuche, è già fatta di pubblicazioni discografiche gloriose. Il gruppo è in giro da pi? di un decennio e la accoppiata “Yellow Spider”-“Sulfur” (il secondo LP ha una copertina semplicemente spettacolare e che ci invita letteralmente a entrare dentro questa feconda fornace cosmica che è il sound di questo gruppo e che poi forse è veramente il sound del futuro del rock psichedelico) nel 2018 è stata semplicemente strepitosa. Superarsi era difficile, quasi impossibile, eppure i Firefriend ci sono riusciti.
Si superano con un doppio LP contenente dodici canzoni e che non accetta compromessi, nel senso che o ti piace, oppure ti piace moltissimo e nel nostro caso vale sicuramente la seconda ipotesi. Si comincia sin da subito a galleggiare in dimensioni lisergiche fatte di chitarre riverberate, atmosfere soffuse, ampio uso di eco e sterzate improvvise che non hanno paura di andare oltre barriere sonore e linee predefinite di accordature e tonalit? gi? scritte. “Zoey Speaks” come la title-track “Avalanche”, nel segno della grande lezione e ispirazione più noise e caratteristicamente astratta e priva di forma di Jad Fair, poi “Alone In The Dark”, cantata da Julia, grezza come potrebbero suonare le prime gemme dei Brian Jonestown Massacre alla corte di Pol Pot, e che poi diviene esplosiva con la sublimazione in uno stato di trance cosmico che non è mai pomposo, ma mantiene quel carattere suburbano, post-punk, che richiede tutta la nostra devozione.
Seguono ballads lisergiche come “Love Seems Distorced”, la vintage e visionaria “Electric Moon Revisited”, “Maxwell’s Demons”, blues e recital elettrici allucinati (“Raw Violence”, la glamour “Dissatisfaction”), sessioni prolungate di psichedelia cosmica sperimentale (“Transient Welcomes”) come si sentono osare veramente pochi gruppi in circolazione, penso ai Bardo Pond, e un bel po’ di pezzi rock psichedelici tosti tipo Warlocks (“Death Star, inc”, i dieci minuti di “Who’s Gone What’s Missing”) e le astrazioni lunari di “Godless Clouds” che rimandano a una mistura tra Red Krayola e sperimentazioni a bassa fedeltà di scuola Sparklehorse.
Non è secondario l’imprinting ideologico marcatamente alternative del gruppo e in una dimensione e un paese dove essere “contro” in questo momento significa veramente essere contro qualche cosa di insano (ma qui da noi le cose non sono poi così differenti). Seguono testi che mettono assieme visioni nello stile Burroughs, veri incubi sotterranei, e la fantascienza di K.W. Jeter, subliminali radiotrasmissioni tratte dalle pagine di “Dr Adder” in un capolavoro distopico gigantesco che ? quel futuro che a San Paolo è gi? presente e questo disco, tutto questo, te lo sbatte in faccia con la forza di una valanga e molto di pi? delle solite colorazioni acquarello tropicali con cui siamo abituati a vedere il Brasile e in generale il Sud America. Oppure questi colori sono gli stessi, ma filtrati attraverso radiotrasmissioni pirata, la vecchia mitologia dei cibernauti. Voto altissimo.